lunedì 26 settembre 2011

Aspettando

Forse non sarà il momento più adatto, ma in quasi vent'anni sembra non  ci sia mai stato il momento adatto - chiunque fosse al governo - e quasi certamente il momento adatto non ci sarà mai nemmeno nei prossimi vent'anni, né con questo né con i governi futuri.
So che è tempo perso, ma non mi costa nulla perdere il mio tempo:  quello che invece finirà per costarmi è il tempo che passa senza che si provveda a cambiare le cose.
Nel secolo scorso (credo 1993) si stabilirono per legge dei parametri: 70 milioni, 5.5 milioni, 360 mila, ecc. Naturalmente i valori erano espressi in lire, moneta corrente in Italia a quel tempo.
Ora quei valori sono diventati gli equivalenti 36151.98, 2840.51, 185.92 espressi in euro - attuale moneta corrente - e probabilmente rimarranno cosi fino a quando non ci sarà un altro cambio della valuta circolante. Nel frattempo l'indice del costo della vita ha avuto da gennaio 1993 ad agosto 2011 una variazione del 58% (VEDI). In altri termini 70 milioni, 5.5 milioni, 360 mila lire del 1993 corrispondono 57120.12, 4488.01, 293.75 euro di oggi e questi dovrebbero essere i giusti parametri attuali. Se invece si dice che sono giusti quelli attualmente vigenti si deve ammettere che per anni sono stati applicati parametri sbagliati. Tuttavia se erano giusti nel 1993 lo sono stati sempre meno negli anni seguenti, ma può anche essere fossero sbagliati allora e siano più sbagliati ora.
La cosa più strana è che i redditi che nel 1993 erano 70% dei parametri se nel frattempo sono aumentati del 45% (cioè meno del 58% di inflazione) ora sono sopra i parametri pur avendo ora un minore potere d'acquisto.
Secondo il ministero competente (o almeno interessato) "la questione dell'adeguamento dei limiti al variato potere di acquisto è da tempo all'attenzione del ministro" e credo che tale rimarrà all'infinito: di tanto in tanto ci darà forse un'occhiata, sicuramente senza prendere alcun provvedimento, non so se perché interessa troppe persone e quindi comporta costi insostenibili o se perché ne riguarda troppe poche e quindi con scarso effetto elettorale.
Comunque sia fra quelle poche ci sarò anch'io, in attesa che qualcuno risolva la cosa secondo equità e meriti il mio voto: se sarà nessuno, per le prossime elezioni faccio fin d'ora dichiarazione di non voto.



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domenica 25 settembre 2011

Amici

Facebook, tutti ne parlano, tutti lo conoscono, tutti lo usano. Sono un po' curioso e sono andato a vedere: non ho capito come funziona e il perché della sua fama. Sicuramente è solo colpa mia e un po' di mia mamma che mi ha messo al mondo troppi anni fa: potrei sperare di migliorare con la pratica, ma ho forti dubbi in proposito.
Quello che mi ha colpito è l'uso del termine amici: chiunque può essere amico di chiunque, basta un clic di conferma. Sono all'antica, del tempo in cui si diceva "chi trova un amico trova un tesoro": o c'è una grande quantità di tesori o amico è inflazionato e non vale molto. Forse perché sono orso, ma nella mia vita non ho avuto molti amici, una merce rara: come faccio ad essere amico di uno di cui nemmeno conosco il  nome, che non ho mai visto in faccia, che di lui so solo quanto vuole farmi sapere? Già fatico a chiamare amico e sentirmi amico di una persona che ho frequentato per molti anni, che non saprò esattamente come sia ma so come si è comportata in certe circostanze, una persona con cui ho spartito pane e companatico: come faccio a chiamare "amico/a" qualcuno del tutto virtuale o che al massimo conosco molto relativamente?
Non credo  che  cercherò amici in facebook, per me amicizia è qualcosa di importante. 

Perché invece di amici non usano il termine contatti, conoscenze, conoscenti, trovatelli (trovati in facebook) riservando il termine amici ai soli amici? Qualche contatto potrei anche accettarlo, col tempo potremmo anche diventare amici, ma non è detto.


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lunedì 19 settembre 2011

Gli onesti.

Tutti ce l'hanno o dicono d'avercela con i disonesti che non pagano i tributi, imposte o tasse che siano. In realtà a pagare le imposte sono una minoranza, intendo quelli che le pagano (1) volontariamente, di propria iniziativa, per senso civico. I lavoratori dipendenti - che si escludono dai disonesti - semplicemente ricevono la retribuzione al netto delle imposte che il datore di lavoro è tenuto a pagare a loro nome, non un pagamento ma una minore entrata. Può capitare che nemmeno si voglia conoscere la retribuzione lorda ma solo la netta e per i dipendenti pubblici netto e imposte sono a carico dei contribuenti. Tutti invece pagano l'IVA, quando non possono farne a meno.
Per verificare se davvero i lavoratori dipendenti sono onesti, ognuno dovrebbe ricevere tutti i soldi che il datore di lavoro spende per lui e quindi pagare - cioè sborsare di tasca propria - assicurazione, previdenza, imposte .
Tutti uguali di fronte alla legge e di fronte al fisco: se chi ora ce l'ha con i disonesti fosse onesto le entrate tributarie resterebbero tali e quali. Penso che invece si ridurrebbero di molto e allora non sarebbe possibile allo Stato (inteso in tutte le sue diramazioni) fornire i suoi servizi e sparirebbero anche gli sprechi. Chissà se allora quelli che attualmente beneficiano dei servizi forniti a spese degli altri penserebbero di mettersi tutti d'accordo e contribuire equamente per riavere i servizi soppressi. Se tutti pagano, tutti tirano fuori i loro soldi, probabilmente pochi sarebbero disposti a farlo senza una contropartita e senza pretendere che non siano sprecati: magari tutti pagherebbero onestamente e volontariamente solo per avere servizi utili e chi vuole quelli inutili se li paghi.

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(1) pagare [pa-gà-re] 
Versare una determinata somma di denaro per acquistare un bene, ottenere la prestazione di un servizio (da Hoepli)


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sabato 17 settembre 2011

Lettura e ascolto.

Mi è capitato di sentire un politico dire con tono soddisfatto "Siamo gli unici in Europa", parlando di qualcosa fatto dalla sua parte politica e che ritiene giusta, bella, da imitare, qualcosa di cui vantarsi.
Mi è capitato di sentire lo stesso politico dire con tono disgustato "Siamo gli unici in Europa", parlando di qualcosa fatto dalla parte avversa e che ritiene sbagliata, brutta, da evitare, qualcosa di cui vergognarsi.
Se nell'ipotetico verbale di intercettazione di quel politico appare in entrambi i casi semplicemente "siamo gli unici in Europa", in base a quanto scritto si può capire il contrario del vero: dal tono della voce capisco quando "essere gli unici in Europa"
per lui è bene e quando è male, dalla trascrizione no.


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martedì 13 settembre 2011

Giornalisti

Se fossi un giornalista italiano per il pubblico italiano scriverei in italiano. Alla radio, in TV o sulla stampa vorrei non usare - per quanto possibile - voci straniere, per farmi capire da tutti gli italiani anche da quelli che per qualsiasi ragione non parlano inglese o magari lo parlano troppo bene per capire il mio. Eviterei termini  stranieri a meno che non siano talmente specifici di quella lingua da essere intraducibili: non me ne viene in mente nessuno e non credo siano moltissimi.
Usarli senza necessità potrebbe voler dire che io non ne conosco il significato o non so renderlo in italiano, manifestando la mia ignoranza ma anche pigrizia (perché non mi curo di conoscerlo e farlo conoscere) ed egoistico spreco del tempo altrui obbligando molti a fare quello che potrei fare io per tutti.
Oppure si potrebbe pensare che saprei benissimo esprimermi in italiano ma trovo più prestigioso e distinto farlo in lingua straniera: una mia vanità, un vezzo ma anche arroganza e disprezzo verso chi mi ascolta o legge, ritenendo che chi non mi capisce non merita di capirmi.
Ai giornalisti può anche succedere che importi meno farsi capire dai loro lettori che chiedere ed ottenere la sovvenzione statale. Non vale la pena  sfaticarsi per trovare la parola italiana evitando il copia e incolla dei termini inglesi: quel lavoro lo possono fare i lettori se vogliono e se non vogliono peggio per loro, tanto le imposte le pagano comunque e le sovvenzioni arrivano.
Dovendo leggere i giornali italiani con accanto il dizionario inglese-italiano, tanto varrebbe che imparassi l'inglese e leggessi The Times. Non lo farò e continuerò a sorbirmi dai giornalisti italiani anche "exit strategy", sperando che loro imparino l'italiano.




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sabato 3 settembre 2011

Differenze.

Perseguitare si può, fare stolchingh è reato. 

Persecutore è uno che dovrebbe finire in prigione, stolcher è uno che finisce in prigione.


Fare la spesa è un dovere, fare shoppingh è un piacere.

Nota: preferisco sh a sc[i] per non essere tentato di pronunciare la [i]


Non è obbligatorio usare lo shopper solo per prodotti voluttuari e il sacchetto, la busta o la sporta per i generi alimentari.



C'è chi usa il carrello al supermercato e il trollei per strada.

C'è chi difende la propria praivasi e chi rispetta l'altrui privatezza.


Se nel fine settimana si lavora non é un bel uichend.
P.S. Chissà perché la fine della settimana si dice il "fine settimana", forse perché il fine della settimana lavorativa sono i due giorni finali di riposo.

 
La lobbi dell'avversario è consorteria.


La tassa sui medicinali si chiama ticchet per addolcire la pillola.


Lo stato assistenziale è una brutta cosa, l' uelfar stæt è una cosa bellissima.


L'Italia è tuttora una Repubblica fondata sul lavoro, il Ministero del Lavoro lo chiamano Ministero dell'uelfar quindi l'Italia è una Repubblica fondata sull'uelfar.

Nota: welfare 
  • n.
  • 1 benessere m., bene m.
  • 2 (aid to promote well-being) assistenza f., previdenza f.
  • 3 (spec. Am) (financial support) sussidio m. statale, assistenza f. finanziaria.

 
Condividere la bici con un amico è amicizia, condividerla con molti sconosciuti è baich shaæringh.

Frequentare la biblioteca pubblica è fare buch shaæringh.

Conoscevo le Autorità civili, militari, religiose (quelle con i posti a sedere riservati) e l'Autorità portuale; ora ci sono molte Autòriti che non so bene cosa facciano, ma penso  siano lautamente pagate in  dollari o sterline.

Old mæn non so se è un uomo vecchio (e stanco) o un vecchio uomo (arzillo).

Chissà cosa mai si possa tagliare con un catter e non con una taglierina. 


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