sabato 17 luglio 2021

Inevitabilmente


"La moneta cattiva scaccia quella buona", dice la legge di Gresham, mercante e banchiere inglese del XVI secolo.
Motatis mutandis, la legge può valere anche per il linguaggio della gente.
Le parole che abitualmente usavo in Veneto ora sono conosciute da pochi e dette da ancor meno. Solo pochi anziani dicono broar su, piron, bravare, buganse, savajo. Quasi tutti si esprimono in italiano o in un dialetto molto italianizzato. Magari restano voci come brustolin, freschin, smorbare, onfegà, slavajare, raseghin e altre delle quali, a chi le usava, non viene il concetto in italiano. Molte altre sono state scacciate dall'italiano o italiese e pian piano il dialetto è sparito o quasi.
C'è chi vede in questo un bene, ma non tutti la pensano così. Passare dal dialetto all'italiano qualcosa si perde. Meglio sarebbe parlare l'uno e l'altro, all'occorrenza. Ricordo un gruppo di alsaziani che iniziavano una discussione in francese e la finvano in tedesco e viceversa: parlare correttamente due idiomi è meglio che parlarne solo uno imbastardito.
La stessa cosa sta succedendo all'italiano. Nessuno fa più spesa ma shopping e usa shopper, non si parla più di legge  del lavoro ma di job act, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale non si occupa di previdenza e assistenza ma di welfare e chi cerca i propri dati li trova non in ilmioINPS ma in  myINPS.
E così, un po' alla volta, inevitabilmente le parole inglesi scacceranno quelle italiane, come la moneta cattiva scaccia quella buona. 

domenica 4 luglio 2021

Tizio e Caio

Tizio, chissà perché, si ritiene una persona esemplare, da imitare. Per lui ci sono solo due modi di fare le cose: il suo e quello sbagliato. E pretende che gli altri non sbaglino.
"Caio, se lei mettesse qualche didascalia, anziché codici, potrei sapere il soggetto dello scatto." scrive perentorio. Usa il lei ma il tono è intimativo e canzonatorio.
Caio è abituato a rispndere gentilmente a chi gentilmente chiede ma non gradisce sottostare a dictat. Pensa che chi vive in una piccola città la conosce e non necessita di precisazioni se non in casi particolari; agli altri o poco importa o basta chiedere.
Quei "codici" che tanto infastidiscono Tizio sono un hastag e il nome delle foto. Lo schema è uguale per tutte, serve poco per capire che indica Regione, Provincia, Comune, Frazione, anno, mese, numero foto. Oppure basta chiedere. Tizio non l'ha chiesto ma Caio glielo dice. Basta un po' di attenzione e comprendonio, ma Tizio non capisce. Ne è ossessionato e scrive "Caio, ancora con sti codici? Non pensa che io ci abbia vissuto a X ma... ora non ricordo con precisione tutto." Poi ancora "... ma sto signore continua imperterrito con i suoi codici; io quando faccio foto in luoghi che non conosco mi segno qualcosa per ricordarmi, poi." A Caio  basta quel titolo e Tizio aggiunge "Caio, a lei può bastare allora faccia a meno di condividerle. Ma pensa te."
"Davvero irritante." - pensa Caio - "Tizio faccia come gli pare ma non pretenda che lo faccia io. Molti luoghi non so come indicarli, la fotocamera non ha GPS, il titolo mi basta per ricordare, a volte ho delle note: se non so e non dico c'è sempre  qualcuno che sa e gentilmente lo dice." Ma a Tizio non basta e gli insegna come deve fare: "Egregio signor Caio veda questa foto, che ho già postato, non contiene nessun codice, neppure occulto, però contiene la data e il nome dell'autore; in questo modo chiunque la copi, a meno che non la ritagli, saprà sempre chi è l'autore dello scatto. Io non ho inventato nulla, nei Gruppi che frequento il 99% delle persone che posta foto fa così. Ah dimenticavo: io NON ho insultato nessuno per iscritto... *pc37x 07VB Saremo H1107072."
Sarà, ma per Caio non è così. Sulle sue foto non mette il suo nome perché gli interessano solo le foto e come archiviarle: non le ha fatte per facebook ma per sé.
Grazie a Tizio non ha più piacere a condividere il piacere delle foto. E se non c'è piacere non vale la pena.