Un tempo la cittadinanza era una cosa seria, questione di nascita, questione di patria, questione di sangue. Ora è solo una questione elettorale.
Non importa se l'allogeno non è riconoscente per i benefici che ha senza merito e solo grazie al lavoro di generazioni di italiani. Non importa se pensa che tutto gli sia dovuto, magari solo per avere pagato lo scafista. Non importa se non si sente italiano. L'importante è che sia riconoscente verso chi gli da diritto di votare regalandogli la cittadinanza italiana ed europea e alla prima occasioni gli dia il suo voto.
Il voto è l'unico diritto che ora non ha e che comunque non potrà far valere prima della maggiore età, praticamente come ora se davvero vuole.
Ma ogni promessa è un debito e il PD deve aver promesso lo "ius soli" alla sua rappresentante africana in Europa e ius soli deve essere, anche se non assoluto: questione di civiltà, non importa quale.
Non basta che casualmente uno sia nato in Italia, che capisca e parli l'italiano e magari il dialetto locale, che abbia frequentato le elementari italiane se non si sente italiano, se la sua idea di civiltà è incompatibile con la civiltà italiana che disprezza, se la fede in cui crede è in contrasto con la nostra civiltà e la nostra Costituzione. Se è un bravo credente l'unica legge che rispetta è quella pensata quattordici secoli fa per bellicosi maschi desiderosi di sottomettere donne e infedeli. Con o senza la cittadinanza italiana, un credente non vuole e non può integrarsi con noi miscredenti, ma dominarci o eliminarci.
I miei bisnonni erano veneti da prima che il Veneto fosse Italia; poi sono stati anche italiani come i miei nonni e i miei genitori perché il Veneto era Italia. Io che non vivo in Veneto da più di 40 anni mi sento sempre veneto e quindi italiano se il Veneto è Italia ed europeo se l'Italia è Europa. Penso che anche per gli afroasiatici sia la stessa cosa, ma mentre il Veneto è parte della storia e della civiltà d'Italia e d'Europa non so se si può dire lo stesso delle patrie africane o asiatiche.
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